Dei quattro cavalieri dell’apocalisse, del numero della bestia e altre cose simili in un’istantanea alla cerimonia della fine del mondo.
Un uomo dà libero sfogo a una protesta di fronte all’oppressione e grida un messaggio di incoraggiamento, alle sue spalle incombe una scenografia tanto grandiosa quanto sconvolgente: sta piombando sulla Terra una catastrofe senza misura e agli occhi di quell’uomo appaiono immagini spiazzanti, che mutano continuamente, opponendosi o completandosi tra loro, e numeri, che si ripetono, densi di presagi criptici.
Tutto è simbolo. Siamo sul finire del I secolo d.C., sotto il governo di Domiziano. È il secolo delle persecuzioni contro i Cristiani che, iniziate verso la fine del governo di Nerone, hanno ben presto assunto il volto di un piano politico metodico, eseguito su tutto il vasto impero sottomesso a Roma nel momento in cui è più forte il desiderio di sterminare in maniera definitiva i seguaci della dottrina evangelica, la cui resistenza nei confronti del culto pagano inficia anche quello dell’imperatore. E, come una protesta di fronte a queste pressioni ‘imperiali’, ormai insopportabili, è scritto il libro dell’Apocalisse, manifesto propagandistico per un possibile nuovo mondo, sviluppato sugli accenni metaforici del paragrafo XXV del Vangelo di Matteo che riporta una descrizione di ciò che avverrà alla fine dei tempi e nel momento del Giudizio universale.
Ufficialmente realizzata dal Raffaello messinese – così è ricordato dalle fonti il pittore Girolamo Alibrandi – (ma in realtà eseguita insieme allo spagnolo Pietro Villanova), il Giudizio universale del Museo interdisciplinare regionale di Messina, ci porta non in una località reale ma dentro un luogo e un tempo immaginifici, dentro un libro attraverso un’opera d’arte, commissionata nel 1514 dal mercante aragonese Michele Campillo e destinata alla chiesa dell’Annunziata dei Catalani di Messina.
Il libro dell’Apocalisse e la sua rappresentazione – in cui le funzioni religiosa e devozionale non appaiono né le uniche né le prevalenti – ha diverse chiavi di lettura, non ultima certamente quella politica, rispondendo a funzioni propagandistiche e operando una serie di scelte di carattere figurativo complesse, destinate a tutti i livelli di conoscenza, da quella pubblica, rivolta ai profani – ecco spiegato il motivo per cui le raffigurazioni del Giudizio fossero collocate generalmente sulla controfacciata delle chiese ottenendo un persuasivo effetto di avvertimento sui fedeli che uscivano dopo le funzioni – a quella iniziatica, in grado di compiacere le più ristrette cerchie di eletti eludendo le censure romane.
E proprio a questi ‘eletti’ è principalmente rivolta la Rivelazione di Gesù Cristo, libro scritto da Giovanni, non identificabile, secondo recenti interpretazioni, con l’autore del quarto Vangelo (l’apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo) ma, come questo ultimo, deportato, per aver manifestato la sua fede cristiana, nell’isola di Patmos (una sorta di antesignana Alcatraz).
- Girolamo Alibrandi e Pietro Villanova, “Giudizio universale”, tavola. Messina, Museo regionale interdisciplinare
- Il Cristo Giudice, al centro della composizione, rende giustizia ai buoni e condanna i cattivi
- Il combattimento fra Michele e il drago illustra la vittoria di Cristo
- I dannati, precipitati in una voragine, sono sottoposti a torture da diavoli con ali di pipistrello
- […] i naviganti e quanti commerciano per mare se ne stanno a distanza, e gridano guardando il fumo del suo incendio
- La resurrezione della carne, con i defunti che escono dagli inferi […]
Al centro, assiso su un arcobaleno di nuvole, campeggia Cristo, il cui mantello, schiuso all’altezza del torace, mostra la ferita nel costato. Seguono, con lo schema più volte utilizzato del moto rotatorio, san Giovanni Battista, inginocchiato in preghiera davanti a Colui presso il quale intercede per la salvezza degli uomini, assieme alla Vergine, dal lato opposto del dipinto, – seguendo l’iconografia bizantina detta «Deesis» –, una città in fiamme (Babilonia=Roma), i dannati, sottoposti alle più atroci pene e, nell’angolo più oscuro, in basso a destra, Satana, l’angelo dell’abisso. Da questo punto si riparte con le immagini che diventano più dolci con: i martiri che escono dalle tombe, allegoria della loro resurrezione che anticipa, secondo l’interpretazione primitiva del versetto 20, 4, di mille anni quella degli altri morti; risalendo verso la gloria del Paradiso, i reprobi. Chiudono il cerchio gli angeli musicanti.
*Armaghedòn, dalle parole ebraiche Har Megido, è luogo di sinistra memoria, presagio e simbolo di disfatta e annientamento militare.